Sono anni difficili per la maggior parte di noi, ma ci sono categorie che soffrono più di altre a causa della natura del loro lavoro.
Enti turistici, ristoratori e negozi che non vendono beni di prima necessità sono quelli più nominati, ma credo ci sia un altro settore fortemente colpito dalla pandemia: quello creativo. Mi riferisco ai copywriter, nello specifico, ma il discorso si può estendere a tutte le figure d'agenzia. Il loro declino è il frutto di una crisi ben più antica e largamente diffusa, ma l’emergenza mondiale potrebbe dare il colpo di grazia. Perché?
Le difficoltà della pandemia generano incertezza e sconforto (ovvio, lo so). Per superare questo stato di confusione, molte persone cercano un metodo scientifico che possa portare ordine, delle regole che tengano insieme una realtà che si sgretola, dei punti di riferimento che possano guidarli ora che si è persa la rotta. E pensano di poter applicare queste regole scientifiche anche alla scrittura dei testi.
Così si moltiplicano i guru dispensatori di formule: “usa un verbo d’azione!”, “inizia con una domanda!”, “privilegia le frasi corte!”, “dividi il testo in paragrafi brevi!”.
Facile, no? Prendi gli ingredienti, mescola bene ed ecco la ricetta di un buon testo.
Negli ultimi mesi ho visto tante persone definirsi copy e propinare queste formule quasi come se fossero magiche.
La cosa che mi ha fatto riflettere è che stanno avendo un discreto successo. O meglio, stanno raccogliendo il consenso di imprese che sono in difficoltà e che hanno bisogno di sapere che esiste una formula per arginare il caos.
Bill Bernbach salvaci tu!
È a questo punto che mi è tornato in mente Bill Bernbach.
Il più grande pubblicitario di tutti i tempi ci ha lasciati orfani di un libro, ma possiamo trarre grandi insegnamenti da qualche lettera privata che ha scritto, oltre che dalle centinaia di magnifiche campagne che ci ha regalato.
È alle sue parole che ritorno, quando il mondo mi sembra instabile e ho bisogno di certezza. Credo che la sua lettera di licenziamento dalla Grey Advertising possa essere una lettura di conforto per tutti i copy che oggi si sentono sopraffatti da chi propina formule scientifiche di persuasività, e che al contempo possa essere chiarificatrice per chi cerca la formula magica della persuasione.
Sono preoccupato dal fatto che cadremo nella trappola della grandezza, che adoreremo le tecniche invece della sostanza, che seguiremo la storia invece di farla, che verremo affogati dalla superficialità invece di essere sostenuti da solidi principi. Ho timore che la nostra vena creativa inaridisca. In pubblicità ci sono un sacco di tecnici. E sfortunatamente hanno vita facile. Conoscono tutte le regole. Ti dicono che se inserisci delle persone in un annuncio, avrai più probabilità che venga letto. Ti dicono quanto dovrebbe essere lunga o corta una frase. Ti dicono che dovresti spezzettare il testo per una lettura più semplice. Ti propongono una certezza dopo l’altra. Sono gli scienziati della pubblicità. Ma c'è un problema: la pubblicità è fondamentalmente un modo per convincere e convincere non è una scienza, ma un’arte. [..] Non sto dicendo che la tecnica sia inutile. Una preparazione tecnica di alto livello migliora gli annunci. Il pericolo però è che la capacità tecnica venga scambiata per abilità creativa. Il pericolo è la tentazione di assumere persone monotone, che vendono formule per l’advertising. […]
Forse, per chi non conosce i Maestri del copywriting è più semplice cadere nelle facilonerie proposte dai nuovi guru. Non per chi è cresciuto con Bill Bernbach: la buona scrittura è l’unica formula magica che porterà noi copy oltre la crisi. Ed è anche il miglior modo per crescere a livello professionale.